giovedì 27 settembre 2007

Monaci buddisti sotto i colpi del regime militare: non lasciamoli soli.


Le notizie si susseguono velocemente risultando lacunose, incapaci di rendere giustizia ai coraggiosi porporati dell'ex Birmania: è doveroso tentare di risalire la china, di spiegare cosa sta avvenendo e perche sta accadendo. Ricordare a tutto il mondo che son ben 45 anni che questo popolo non conosce altro se non la violenza, e l'umiliazione.

Anche perche il mondo da dietro il sipario continua ad agire nell'ombra: strategie, guadagni e strani movimenti sembrano fare da collante tra le varie nazioni impedendo un processo di giustizia nei confronti di una nazione piegata da una giunta militare criminale. La Russia e la Cina mantengono importanti rapporti economici con la giunta militare di Rangoon, quindi non sembrano voler in nessun modo tentare la strada della risoluzione, anche perche tutt'oggi nelle loro nazioni avvengono crimini e ogni sorta di oppressione, per loro è naturale " comandare " il popolo. Per fortuna il mondo non fa fronte unito davanti le stragi di innocenti, ed ecco che qualcuno accenna timidi passi verso la difesa inalienabile dei diritti umani: diritti mondiali e inscindibili, quale sia il regime di ogni Stato non importa, essi devono essere un principio universale, il principio di tutti noi. Il segretario generale dell'Onu ha dato mandato al suo inviato Ibrahim Gambari di partire per la Birmania e di «avvalersi della volontà dell'Onu di assistere ad un processo di riconciliazione nazionale tramite il dialogo», Usa e Ue hanno chiesto al Consiglio di sicurezza di prendere in considerazione sanzioni contro la giunta militare al potere in Birmania e di condannare le violenze contro i manifestanti. «Chiediamo al Cds di esaminare urgentemente la situazione e di prendere in considerazione ulteriori passi, incluse sanzioni» dice la dichiarazione diffusa poche ore prima della riunione urgente del Consiglio di sicurezza chiesta dalla Francia. Nel testo, approvato nel corso di un vertice ministeriale transatlantico, Ue ed Usa hanno anche condannato “tutte le violenze contro i dimostranti”, ricordando ai leader birmane le loro responsabilità. Ue ed Usa, infine, «chiedono di aprire un processo di dialogo con i leader democratici, compresa Aung San Suu Kyi e i rappresentanti delle minoranze etniche». Anche l'Italia fa la sua parte. Romano Prodi e Massimo D Alema, a New York per i lavori dell'Onu, confermano la possibilità di ulteriori sanzioni nei confronti del regime. La preoccupazione dell'Italia resta quella di muoversi all'interno di una linea europea che ne rafforzi l'azione, ma Roma sta pensando anche a proporre qualcosa in più oltre alle sanzioni. Un'eventualità non remotissima potrebbe essere quella di arrivare a ritirare il nostro ambasciatore. Se non sprangare le porte dei nostri uffici diplomatici, far tornare a casa le feluche lasciando al più un rappresentante a sbrigare le pratiche soprattutto per qualche turista in difficoltà. Permettetemi di dissentire con lor signori; di ricordare come la loro parvenza stoni con le verità celate, tenute ben nascoste. Non è forse la stessa America quella che oggi sta assassinando civili in ogni parte dell'Iraq a dichiarare la sua ferma decisione di difendere i buddisti? Non è questa una incongruenza che svela ben altri orizzonti? Se si è a difesa della vita umana lo si è sempre! Spero almeno che l'Italia non si renda corresponsabile come con Plaza de Mayo. Quando la P2 ci governava e invece di smascherare il regime militare argentino ci costruiva guadagni a non finire. Calpestando la vita di decine di persone.
Come che sia, la protesta verso Rangoon cresce di ora in ora e, in qualche modo, deve aver forse contagiato anche cinesi, indiani e russi, grandi padrini della giunta. Le vittime di Rangoon sono il segnale che la macchia di sangue sulla Birmania potrebbe allargarsi anche oltre confine. Non è impensabile infatti che questi temerari religiosi scatenino una reazione a catena, suscitando la stessa determinazione nelle altre nazioni dove la dittatura impedisce una vita dignitosa e democratica. La libertà sembra per molti ancora una chimera ma, capace tuttavia di risvegliare in molti animi la voglia di riscatto.

Religione e politica. Storia e cronaca. Ecco gli ingredienti tellurici che stanno smorzando gli orizzonti dorati della Shwedagon paya.

Le pagode non disegnano piu scie magiche, tutt'intorno un silenzio preludio di guerre e violenza: la pace in questo mondo è un bene da conquistarsi spesso con la morte.

Eppure è il tempio piu sacro per i buddisti, oggi circondato dalle armi fumanti dei militari assassini. Fermi con la loro tenuta antisommossa fanno ben capire le loro intenzioni: pronti a tutto pur di eliminarvi. Uno scenario che stride con l'incanto che sa emanare la cupola della Shwedagon e le decine di altari che la circondano.

Gioiello indiscusso di una città che non cattura lo sguardo, la Shwedagon ha affascinato nei secoli scrittori e viaggiatori. Rudyard Kipling la definì “un mistero dorato che si leva sull'orizzonte”. Terra deliziosa, tanto deliziosa da venir desiderata da molti, inglesi compresi. Dopo esser tornati a invadere Rangoon una trentina di anni dopo, l'avrebbero tenuta sotto controllo per quasi ottanta anni, pur permettendo ai birmani di entrare per praticare i loro riti. Due secoli prima, i portoghesi l'avevano saccheggiata tentando invano di portarsi via la grande campana da trenta tonnellate che finì per cadere nel fiume. I tentativi di saccheggiare il sacro tempio si sono trasformati anche in leggenda. Come quella del re cinese Udibwa, così ansioso di impossessarsi delle sacre reliquie custodite nella Shwedagon, che “preparò una figura magica in forma umana e la inviò per rubare i resti del Budda”. Ma l'essere magico fu così abbagliato dallo splendore del santuario che attese troppo a lungo, perdendo il momento propizio. Le storie e i miti attorno al tempio sono così numerosi, che Sir. Scott vi dedicò un intero capitolo. Sopravvissuta anche a una serie di terremoti, ricostruita con cura dai fedeli, la Shwedagon è il simbolo della lotta per la libertà del popolo birmano. E la difenderanno con ogni mezzo fino alla loro stregua se necessario: a loro la nostra stima, del resto questi religiosi hanno piu volte nel corso della storia dato prova della loro forza e coraggio. Sconfiggendo poteri piu grandi, assassini piu spietati: hanno combattuto a mani nude come si addice a degli uomini che nella vita sanno solo agire nella pace. Rinchiusi e bruciati, o fatti sparire con ogni altro mezzo disumano, eppure ancora li oggi a difendere il loro tempio.

Questi gli uomini che oggi vediamo scacciati, derisi, umiliati: li vediamo in ginocchio, coperti da una veste rossa, i loro visi pacifici ma determinati hanno saputo carpire la nostra attenzione. Già, ma anche ora che sto scrivendo, anche ora che stai leggendo loro sono la, intimoriti e percossi, portati via in chissà quale stanza delle torture, le segrete della paura: dobbiamo far di piu, glielo dobbiamo in nome di quei diritti umani che debbono diventare universali, che debbono scavalcare ogni regime o dittatura. La difesa alla sopravvivenza della razza umana. I militari non tollerano nemmeno gli slogan e lo fanno intendere con ripetuti lanci di lacrimogeni, il coprifuoco e il divieto di riunire piu di 5 persone sono l'indice di come la giunta militare stia man mano intensificando le azioni e impedendo la vita di questo popolo che erige la propria esistenza a difesa di principi di una civiltà libera dalla dittatura.

Nessuna tregua, nessuna eccezione: chiunque stia dalla parte dei buddisti, anche solo per raccontare al mondo la loro storia viene malmenato, pestato a suon di bastoni, scacciato e schiacciato.

Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace costretta da 12 anni alla detenzione: i monaci fanno cerchio intorno a lei accogliendo la sua benedizione come fosse acqua per gli assetati nel deserto.

Si leva nella nuova era un nuovo tam – tam: giovani coraggiosi eludono la sicurezza e i servizi segreti inviando via web, video e testimonianze: se li beccano la morte sarà la loro unica fine.

Rendiamoci conto di come stanno tenendo questa gente: isolati dal mondo, censurati, imprigionati.

Non lasciamo soltanto ai grandi l'onere di agire: impediamo che simili violenze vengano inflitte, costringiamo i militari a lasciare libera quella gente.

Denunciate sul vostro sito o blog che sia, quello che sta avvenendo e dichiaratevi contrari al regime militare. Sormontate le testate giornaliste con le vostre lettere denuncia. Esercitiamo il nostro potere verbale, usiamo la nostra libertà di stampa per manifestare il nostro sdegno.

Roberta Lemma

[ Post tratto da Vitteme e Carnefici ]
La mia vetrina su Lulu: http://stores.lulu.com/robertalemma

1 commento:

Anonimo ha detto...

Per la gente che non dimentica...
ho trovato un appello sul Web se vuoi contribuire anche tu
http://www.amnesty.it/appelli/azioni_urgenti/Myanmar