questo post nasce da una conversazione con un amico scrittore sui decaloghi che vengono dispensati da chi pretende di essere in grado d’insegnare “l’arte”, ma sempre più spesso pare interessato a “mettere da parte” gli zecchini che in cambio gli passate.
Naturalmente non ho nulla contro le scuole di scrittura. Ce ne sono di valide che, per il fatto di esserlo, si fanno pagare laute rette, né ho qualcosa contro i manuali. Anche di questi ce ne sono di validi, e non solo quelli di gente che non essendo mai riuscita a farsi pubblicare un libro, hanno pensato bene di essere in grado di spiegare, non come si fa a non farsi pubblicare un libro, ma come si fa a scriverlo.
Il problema nasce quando si tenta di liquidare una delle questioni più complesse che esistano, con l’uso di quattro regolette precotte, che di solito sono:
- ripescate il vostro libro, radunate tutti gli avverbi in uno stadio e sterminateli senza alcuna pietà
- fate la stessa cosa con gli aggettivi, risparmiandone alcuni al fine di offrire loro la possibilità di riprodursi e a voi quella di poter ripetere l’operazione svariate volte con sadismo e soddisfazione
- adagiate su un piano di marmo tutti i puntini di sospensione e passateli col mattarello fino ad ottenere un unico gigantesco punto che sarà quello che concluderà la vostra narrazione
- usate periodi brevi, perché quelli lunghi sono cose da grandi scrittori, e se avete bisogno di una scuola o di un manuale, evidentemente siete ancora molto lontani dall’esserlo
Se applichiamo le regole al famoso incipit “era una notte buia e tempestosa”, otteniamo “era notte”, col risultato di passare da un brutto incipit a un’idiozia, e con esso la certezza di aver buttato via un po’ di soldi, ma, visti i “mala tempora”, qualche possibilità di pubblicazione in più.Devo dire che ultimamente (orrore!!!) anch'io tendo a sfrondare molto quella che è la prima versione di un testo. Ma questo nell'ottica di migliorare la musicalità della narrazione, non certo per seguire pedissequamente (oh mio dddio!!!) regole e regolette.
L’amico scrittore cita l’esempio del “guerriero valoroso” e del “pendio scosceso”. Allora, il guerriero può essere valoroso, come potrebbe essere un guerriero nella media, o addirittura un guerriero vile. Un pendio, può essere dolce o scosceso (anche se sarebbe da preferire declivio, nel primo caso). Quello che è invece da evitare è il fatto che l'aggettivo o l'avverbio si trasformino in pleonasmo o ridondanza: il burrone non può essere scosceso. Ma anche qui i limiti si fanno labili: complici i mutamenti climatici, l'inverno può ben tornare ad essere freddo. Così mescolare abbondantemente e ripetutamente (ma questa è una provocazione!!!), è un po’ ostico all’orecchio, ma non è uguale al semplice mescolare.La narrativa si ciba di regole grammaticali e logiche, e mal si presta all'aggiunta di altre, specie se illogiche. Il vero motivo di queste scuole di pensiero è uno solo: chi deve leggere per professione ha pensato bene d'inventarsi qualcosa per tagliare il proprio lavoro del trenta, quaranta per cento.
Tutti abbiamo l’ambizione di migliorare la nostra scrittura e di trovare uno stile personale e gradevole. E’ un’ambizione comprensibile, cui anch’io voglio dare un contributo e offrire una regola. Anzi la madre di tutte le regole: “leggete molto, e possibilmente dei buoni libri, mi raccomando!”
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